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Per anni si e' pensato che la causa della morte di un bambino vissuto circa 500 anni fa, il cui corpo fu imbalsamato e conservato nelle arche sepolcrali della Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, fosse il vaiolo. Oggi, un team internazionale di ricercatori della McMaster University di Hamilton in Canada, diretto da Hendrik Poinar, e della Divisione di Paleopatologia dell'Universita' di Pisa, costituito da Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, ha appurato che il bambino era portatore del virus dell'epatite B, gettando nuova luce su un agente patogeno complesso e mortale, che uccide quasi un milione di persone ogni anno. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online 'Plos Pathogens'.
Nel corso delle missioni esplorative dell'Universita' di Pisa nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, dirette dal professor Gino Fornaciari negli anni '80-'90, fu ritrovata la mummia intatta di un bambino di due anni che indossava ancora la veste monastica dell'Ordine Domenicano, grazie alla quale i ricercatori hanno ottenuto il sequenziamento completo del genoma di un antico ceppo del virus dell'epatite B (HBV). "Mentre in genere i virus si evolvono molto rapidamente, e' stato visto che questo antico ceppo di Hbv e' mutato poco negli ultimi 450 anni- spiega il professor Fornaciari- È stata infatti rilevata una stretta relazione tra i ceppi antichi e moderni di epatite B: entrambi mancano di quella che e' nota come 'struttura temporale'".
Creata in laboratorio una proteina modificata che accelera la rigenerazione dei tessuti
11 Gen 2018 Scritto da Università degli Studi di Milano - Bicocca
A seguito di un danno in un tessuto, sia l’infiammazione – a opera del sistema immunitario – che la successiva rigenerazione sono processi fondamentali per la guarigione. In uno studio pubblicato su The Journal of Experimental Medicine, un gruppo di ricercatori ha identificato in HMGB1 la proteina chiave nel governare entrambi i processi. I ricercatori hanno poi modificato HMGB1 in laboratorio, creandone una versione che agisce solo in chiave rigenerativa (3S-HMGB1). La nuova proteina si è dimostrata capace di accelerare il processo di ricostruzione del tessuto in topi che presentavano un danno muscolare o epatico. La ricerca è stata svolta presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture d’eccellenza del Gruppo ospedaliero San Donato – in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano-Bicocca ed è stata coordinata da Emilie Vénéreau e Marco Bianchi, rispettivamente ricercatrice e capo dell’unità di Dinamica della cromatina all’Ospedale San Raffaele.
Malattie reumatiche: coi farmaci biologici il 40% dei pazienti avrebbe maggiori benefici, ma oggi si usano solo nel 22% dei casi
10 Gen 2018 Scritto da Omceo
Piu' del 40% dei pazienti colpiti da malattie reumatiche gravi in Italia potrebbe trarre beneficio dai farmaci biologici, ma solo il 22% e' trattato con questi. Nel nostro Paese piu' di 5 milioni di persone vivono con la diagnosi di una di queste patologie che possono portare a invalidita', evitabile proprio grazie alle terapie innovative biologiche che negli ultimi 20 anni hanno radicalmente migliorato la qualita' di vita di molti pazienti. Ma il nostro Paese e' terzultimo in Europa nella prescrizione di queste cure, davanti solo a Grecia e Portogallo. Per garantire a tutti i malati i migliori trattamenti, la SIR (Societa' Italiana di Reumatologia) chiede alle Istituzioni la creazione di un Fondo nazionale per i farmaci biologici in reumatologia. Accanto a questa fonte di risorse dovrebbero essere realizzate quanto prima le reti assistenziali reumatologiche in tutte le Regioni, con la piena applicazione dei piani diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA). Le richieste vengono dal 54esimo Congresso SIR. "Solo cosi' possiamo salvare la reumatologia che rischia di sparire nel nostro Paese - spiega Mauro Galeazzi, presidente Nazionale SIR -. Una situazione molto grave che si sta gia' verificando in alcune zone, in cui mancano del tutto le strutture reumatologiche. La prescrizione dei farmaci biologici solo nella meta' dei pazienti che ne avrebbero effettivo bisogno e' la conseguenza di scelte locali e nazionali sbagliate e anacronistiche".
Vaccini, Unione europea pronta a raccomandazione per rafforzare la cooperazione
09 Gen 2018 Scritto da Omceo
La Commissione europea ha avviato il 21 dicembre una consultazione pubblica sulle possibili attivita' da includere in una proposta per rafforzare la cooperazione dell'Ue contro le malattie prevenibili dal vaccino, che sara' adottata nel 2018.
Le persone e le organizzazioni interessate possono contribuire a dare forma a questa importante iniziativa completando il questionario strutturato in tre campi: come affrontare le perplessita' sui vaccini; quali politiche di vaccinazione sostenibile nell'Ue; il coordinamento Ue, compresa la promozione del dialogo con le parti interessate e il contributo alla salute globale. Annunciando l'avvio della consultazione, Vytenis Andriukaitis, commissario per la salute e la sicurezza alimentare, ha sottolineato: "A settembre, il presidente Juncker ha dichiarato che e' inaccettabile che nel 2017 ci siano ancora bambini che muoiono per malattie che dovrebbero essere state estirpate da molto tempo in Europa".
"Inutile dire - prosegue - che non solo appoggiamo la dichiarazione del Presidente, ma siamo anche pienamente impegnati a sostenere gli Stati membri ad aumentare la copertura vaccinale nell'Ue. La consultazione che lanciamo oggi e' un'opportunita' per cittadini e organizzazioni di dirci quali azioni dell'Unione europea ritengono utili per rafforzare la cooperazione contro le malattie prevenibili dai vaccini, ma vorrei essere chiaro: questo non e' un dibattito sui meriti della vaccinazione. I benefici dei vaccini sono un dato di fatto, non una questione di opinione. Il crescente scetticismo nei confronti dei vaccini minaccia di invertire i progressi che abbiamo fatto nella sanita' pubblica. Penso che tutti i vostri contributi saranno costruttivi".
Sono i Vocs, composti volatili prodotti nei normali processi metabolici dal nostro organismo: la loro presenza nei bambini sovrappeso o obesi è significativamente differente e può consentire diagnosi precoci e predizioni del potenziale sviluppo di patologie correlate. Lo studio dell’Isa-Cnr di Avellino è pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature
L’elevata prevalenza di sovrappeso e obesità infantile costituisce un problema di sanità pubblica a livello mondiale. L’obesità rappresenta un importante fattore di rischio di malattie croniche e, in età pediatrica, si associa a una più precoce insorgenza di patologie dell’età adulta come diabete di tipo 2, ipertensione arteriosa e iperlipidemie. Tuttavia, i meccanismi metabolici con cui l’adiposità precoce può indurre tali malattie cronico-degenerative non sono ancora del tutto chiari. A tal riguardo, un significativo contributo arriva dall’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Isa-Cnr) di Avellino con un lavoro pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.
“Abbiamo analizzato campioni di urine di bambini appartenenti alla coorte italiana di un progetto pilota di cui siamo partner, 'I. Family'”, spiega Rosaria Cozzolino dell’Isa-Cnr. “I risultati iniziali hanno già permesso di evidenziare per la prima volta che nelle urine di bambini sovrappeso o obesi il profilo dei composti organici volatili (Vocs), prodotti nei normali processi metabolici dal nostro organismo, è significativamente differente, dal punto di vista qualitativo, da quello di bambini normopeso: alcuni composti presenti potrebbero quindi ricoprire il ruolo di biomarcatori metabolici dell’obesità infantile e delle relative complicanze”.
Droghe: l’anno della spice
01 Gen 2018 Scritto da Istituto di fisiologia clinica del Cnr (Ifc-Cnr) – Sezione di epidemiologia e ricerca sui servizi sanitariIl rapporto ‘Espad Italia’ sull’uso degli stupefacenti tra gli studenti conferma al primo posto la cannabis, seguita dalla ‘spice’ e dalle nuove sostanze psicoattive (Nps). In crescita l’uso di droga tra le ragazze, seppur con livelli di consumo inferiori ai coetanei maschi. Il documento è coordinato dall’Ifc-Cnr
Lo studio ‘Espad Italia’ dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr), descrive gli scenari e le tendenze presenti fra i giovani nel nostro paese riguardo all’uso delle sostanze stupefacenti e i comportamenti a rischio correlati: in particolare, le informazioni raccolte relativamente all’uso nel 2016 di alcol, tabacco e droghe tra gli studenti fra i 15 e i 19 anni ci dicono che il 32,9% dei ragazzi, poco più di 800mila, ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso della propria vita (maschi 37,7%; femmine 28%), mentre il 25,9% (maschi 30,9%; femmine 20,7%, circa 650mila ragazzi) riferisce di averlo fatto nel corso dell’ultimo anno.
“La cannabis si conferma la sostanza psicoattiva illegale più diffusa.
Parkinson: individuata alterazione nella fase iniziale della malattia
27 Dic 2017 Scritto da Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli, Istituto Telethon di Pozzuoli, Fondazione Santa Lucia Irccs, Università di Perugia
L'alfa-sinucleina, verde, colonizza il corpo cellulare dei neuroni che producono dopamina, rosa, e ne distrugge le funzioni normali
La struttura modificata è quella che sovrintende all’apprendimento motorio e a determinarne l’alterazione è l’eccesso della proteina alfa-sinucleina, il cui accumulo porta poi in fase avanzata alla morte dei neuroni dopaminergici e alla manifestazione della malattia. La scoperta, opera di un team coordinato da Elvira De Leonibus di Igb-Cnr e Istituto Telethon, permette una diagnosi precoce e lo sviluppo di nuove terapie. Il lavoro è stato pubblicato su Brain.
Un team formato da Elvira De Leonibus, responsabile del Laboratorio di neuropsicofarmacologia dell’Istituto di genetica e biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche (Igb-Cnr) di Napoli e Faculty presso l’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli, Barbara Picconi e Paolo Calabresi della Fondazione Santa Lucia Irccs e dell’Università di Perugia, ha scoperto un nuovo meccanismo di memoria cellulare attivato dall’apprendimento motorio, che viene alterato nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson. Il lavoro, finanziato dalla Fondazione con il Sud e dal Miur, è stato pubblicato sulla rivista Brain. La memoria motoria è l’abilità attraverso cui impariamo a compiere azioni come scrivere, andare in bicicletta, suonare uno strumento, ed è caratterizzata da un apprendimento lento e progressivo che richiede tanto addestramento ma che, una volta acquisito, consente di compiere automaticamente i movimenti. Si sapeva già che la sede cerebrale dell’apprendimento motorio fosse il corpo striato, una struttura antica del cervello posta al di sotto della corteccia cerebrale. Non era chiaro, invece, come le cellule dello striato riuscissero a ricordare quanto già appreso e, partendo da lì, ad apprendere nuovi movimenti e a perfezionare quelli noti. “Nel nostro studio abbiamo scoperto, in modelli animali, che l’esercizio motorio lascia un segno per giorni nei neuroni dello striato”, spiega De Leonibus, coordinatrice del team di ricerca. “Se applichiamo uno stimolo elettrico ai neuroni dello striato di animali non addestrati, questi danno una risposta inibitoria; se lo stesso stimolo è applicato ad animali sottoposti alle prime sessioni di apprendimento, i neuroni rispondono eccitandosi e questo li rende riconoscibili e consente di perfezionare i movimenti appresi. Tuttavia, una volta che l’esercizio motorio viene acquisito alla perfezione e il movimento viene effettuato automaticamente, i neuroni tornano a dara una risposta inibitoria allo stimolo elettrico”.

Tiroide, da oggi più facile riconoscere le neoplasie
20 Dic 2017 Scritto da Istituto di struttura della materia di Roma (Ism-Cnr), Università Campus Biomedico di RomaUn team di ricercatori dell’Ism-Cnr e dell’Università Campus Biomedico di Roma propone un metodo basato sulla microscopia Raman di ultima generazione, per migliorare la diagnosi. Evitabile il 50% degli interventi diagnostici. Lo studio è pubblicato su Scientific Reports
L’Istituto di struttura della materia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ism-Cnr), in collaborazione con l’Università Campus Bio-Medico di Roma, la Thermo Fisher Scientific di Milano e con il contributo della Fondazione Alberto Sordi, ha recentemente pubblicato su Scientific Reports (gruppo Nature) i risultati di un’indagine riguardante un metodo per distinguere più efficacemente le neoplasie tiroidee benigne da quelle maligne.
“Il numero di pazienti affetti da noduli tiroidei è in costante crescita, con un aumento concomitante della diagnosi di tumore e degli interventi chirurgici, con asportazione totale della tiroide e conseguente terapia ormonale sostitutiva per un numero rilevante di pazienti. Tuttavia, secondo la recente letteratura scientifica, in una parte dei pazienti si potrebbero evitare soluzioni chirurgiche, in particolare per le lesioni follicolari della tiroide e, in alcuni casi, per i piccoli carcinomi. Si tratta di una questione di sanità pubblica su scala globale che coinvolge soprattutto i Paesi ad alto reddito e che ha spinto una rimodulazione delle linee-guida del settore”, spiega Julietta V. Rau, ricercatrice dell’Ism-Cnr e prima autrice dello studio: “Attraverso una tecnica combinata di microscopia e spettroscopia di ultima generazione (Raman) siamo riusciti a distinguere meglio e classificare i tessuti sani da quelli neoplastici e a discriminare le neoplasie follicolari tra forma maligna (carcinoma) e benigna (adenoma), con un’accuratezza diagnostica di circa il 90%. La tecnica utilizzata è già stata sperimentata per la diagnosi di altri tumori ed è in grado di attribuire specifiche caratteristiche biochimiche ai tessuti tiroidei osservati al microscopio”.
Immagine 1: morfologia fine delle cellule nervose nel cervello in vivo tramite imaging ad alta risoluzione con il sensore del cloro.
Ricercatori di Nano-Cnr e della Scuola Normale Superiore hanno sviluppato un metodo per misurare per la prima volta la concentrazione nelle cellule nervose dell’elemento che regola meccanismi inibitori ed eccitatori del cervello, dal cui equilibrio derivano deficit cognitivi e importanti patologie come autismo ed epilessia. Lo studio, pubblicato su Pnas, è stato realizzato con il supporto di Telethon. Raggiunto un risultato che la neurobiologia inseguiva da tempo: un metodo non invasivo per misurare il cloro nelle cellule cerebrali in vivo, fondamentale poiché deficit cognitivi e malattie come epilessia e autismo sono potenzialmente legati a difetti nella regolazione del cloro. A realizzare il nuovo sensore strumento, capace di misurare il valore del cloro nelle cellule nervose di un cervello vivente, l'Istituto Nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Nano-Cnr) e la Scuola Normale Superiore, in collaborazione con Istituto Italiano di Tecnologia e Università di Trento. Lo studio è stato realizzato con il supporto di un finanziamento Telethon e pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).