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I ricercatori di Unito scoprono una proteina fondamentale per lo sviluppo del tumore del pancreas
14 Feb 2022 Scritto da Redazione
Lo studio, pubblicato dalla prestigiosa rivista Gastroenterology, è importante per comprendere a fondo la patologia e per identificare possibili marker molecolari utili sia nella diagnostica sia nella terapia
Gli scienziati del Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino hanno scoperto un fattore indispensabile per l’insorgenza del tumore al pancreas, identificato nel ruolo della proteina chiave p130Cas. Il loro studio è stato pubblicato dalla prestigiosa rivista Gastroenterology.
Il tumore al pancreas rimane a oggi uno dei tumori più letali e complessi da individuare: la scarsa percentuale di sopravvivenza è principalmente dovuta al fatto che la malattia, nelle sue fasi iniziali, non si manifesta con sintomi eclatanti. Inoltre, la comprensione di tali fasi è ancora limitata, così come la conoscenza di marcatori molecolari per la diagnosi precoce. I tumori pancreatici hanno origine a partire dalle cellule esocrine, responsabili della produzione degli enzimi pancreatici, che permettono la digestione: tali cellule possono andare incontro a una metaplasia acino-duttale (termine che indica la trasformazione di una tipologia cellulare in un’altra differente), che rappresenta il primo step nella progressione tumorale sostenuta dall’oncogene Kras. Gli oncogeni sono geni che, se subiscono delle mutazioni, causano lo sviluppo del tumore; in più del 90% dei tumori pancreatici sono state infatti individuate mutazioni di Kras. Tramite screening genetici ad ampio spettro, la proteina adattatrice p130Cas è emersa come un potenziale interattore di Kras e possibile candidato per predire la suscettibilità allo sviluppo del tumore pancreatico.
Vaccino anticovid efficace anche dopo 6 mesi: possibile grazie alle cellule T
14 Feb 2022 Scritto da Università di Genova
Pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell uno studio del La Jolla Institute for Immunology di San Diego, in collaborazione con l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e l’Università di Genova. La ricerca, analizzando la risposta delle cellule T contro tutte le varianti del virus Sars Cov-2 finora identificate, ha per la prima volta dimostrato che queste ultime non riducono la risposta immunitaria garantita dai vaccini Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson, Novavax, che resta duratura ed efficace anche sei mesi dopo la vaccinazione.
Covid: grazie a cellule T “dalla memoria di ferro” anche dopo 6 mesi il vaccino resta efficace contro tutte le varianti, Omicron compresa. Ricercatori ottimisti anche per eventuali future mutazioni.
Dai risultati di questa ricerca emerge che, sebbene gli anticorpi calino rapidamente, grazie ai linfociti T, cellule “dalla memoria di ferro”, il sistema immunitario di chi è stato vaccinato produce una risposta duratura ed efficace contro tutte le varianti note. “È plausibile che il vaccino possa frenare anche le future varianti - spiega Gilberto Filaci, fra i coautori dello studio, docente UniGe e direttore dell’Unità di bioterapie dell’IRCCS Policlinico San Martino – perché è stato osservato che le cellule T di ogni individuo vaccinato sono “allenate” a riconoscere non un solo elemento della proteina spike ma in media una ventina di pezzetti diversi del virus. Ciò rende molto poco probabile che il virus generi eventuali future varianti tali da renderlo capace di sfuggire del tutto al riconoscimento e all’eliminazione da parte delle cellule T. In pratica – continua l’esperto – queste cellule si comportano come chi sa riconoscere una persona da 20 dettagli diversi del viso: anche se poi indossa un paio di occhiali o taglia i capelli, è molto improbabile che questi cambiamenti siano tali da rendere irriconoscibile l’identità della persona”.
Qual è l’atteggiamento nei confronti dei vaccini e delle misure di contenimento del Covid nella popolazione italiana?
14 Feb 2022 Scritto da Università degli Studi di Milano
L’Università degli Studi di Milano, assieme all’Università di Messina, ha collaborato a un’indagine commissionata a BVA DOXA dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro sulle opinioni rispetto al COVID-19, alle vaccinazioni e le misure di contenimento su un campione di 1000 persone dai 18 ai 74 anni rappresentativo della popolazione italiana, nel periodo dal 26 al 31 gennaio 2022.
Su mille persone dai 18 ai 74 anni, rappresentative della popolazione italiana, il 27.9 % del campione riporta di avere avuto il Covid, circa metà di essi nei mesi di dicembre 2021-gennaio 2022, ossia nella fase in cui ha preso il sopravvento la variante Omicron.
Nell’attività di contact tracing (71.3% dei casi) sono stati coinvolti attivamente anche i medici di famiglia e, per i contatti tra lavoratori, i medici del lavoro-competenti.
Il disturbo bipolare colpisce 1-2 persone su 100 ed è caratterizzata da un umore oscillante tra due estremi: la fase maniacale e la fase depressiva.
La fase depressiva
È del tutto sovrapponibile alla depressione maggiore, per cui ci sono sentimenti di inadeguatezza, abbassamento dell’umore, idee pessimistiche, perdita di interesse per le attività a cui prima ci si dedicava con piacere. Perdita dell’appetito, mancanza di sonno o viceversa si passa l’intera giornata a letto. Questa fase può, inoltre, complicarsi con sintomi psicotici: ci possono essere dei deliri di rovina, catastrofismo, oppure idee di suicidio.
La fase maniacale
È esattamente l’opposto: grande energia, estremo ottimismo, sicurezza di sé, che può portare a prendere decisioni avventate o potenzialmente dannose, come spendere molto denaro. Non si sente il bisogno di dormire e c’è una propensione per un’attività sessuale promiscua ed esibita. Talvolta la spiccata tendenza a prendere iniziative può essere proficua sotto il profilo lavorativo. Può capitare, infatti, che chi è affetto da disturbo bipolare sia una persona di successo, proprio perché la fase manicale può essere propulsiva per le proprie aspirazioni. Ma anche la fase maniacale può complicarsi con idee deliranti di grandezza o di onnipotenza, anche con sentimenti paranoidi e di persecuzione.
Un nuovo sensore per misurare il livello di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2
08 Feb 2022 Scritto da Università degli studi di Bologna
Messo a punto da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna, il dispositivo è rapido, efficace, affidabile ed economico: potrebbe essere utile sia in campo clinico che per lo sviluppo di nuovi vaccini anti COVID-19 Una nuova tecnologia – rapida, efficace, affidabile ed economica – per misurare il livello di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 presenti nel sangue, ma anche per testare l’efficacia di nuovi vaccini anti COVID-19. Presentato su Communications Materials, rivista del gruppo Nature, il dispositivo è stato messo a punto da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna.
Si tratta di un “transistor elettrochimico organico” (OECT – Organic Electrochemical Transistor), basato su un particolare polimero conduttivo (Pedot:Pss), che permette di monitorare a distanza e in tempo reale l’integrità del tessuto cellulare riuscendo così a capire se una coltura in vitro infetta dal coronavirus è protetta o meno dagli anticorpi neutralizzanti presenti nel siero sanguigno. È la prima volta che un sensore di questo tipo viene utilizzato su SARS-CoV-2, e lo stesso strumento potrebbe in futuro essere adattato anche per altre tipologie di virus.
Mutazioni nei geni BRCA: non solo tumori alla mammella e all’ovaio
04 Feb 2022 Scritto da Università di Roma La Sapienza
Un nuovo studio internazionale coordinato dal Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza e dall’Università di Cambridge, sostenuto anche da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, ha stimato su un campione di più di 5.000 famiglie l’associazione delle mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 con il rischio di sviluppare, in entrambi i sessi, 22 tipi di cancro, tra cui quello alla prostata, al pancreas e allo stomaco. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Clinical Oncology
Le mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 sono soprattutto note in quanto nelle famiglie di portatori aumentano sensibilmente il rischio di sviluppare carcinomi della mammella e dell’ovaio. Queste conoscenze hanno anche permesso di realizzare adeguati programmi di screening mirati alla prevenzione di queste neoplasie. Finora tuttavia non si sapeva con altrettanta precisione se le stesse mutazioni potessero aumentare il rischio di sviluppare altri tipi di tumori.
La ricerca delle Università di Pisa e della Tuscia pubblicata sulla rivista Social Indicators Research
In Italia le persone a rischio di povertà alimentare sono il 22,3% dell'intera popolazione, un tasso che varia a livello regionale dal 14,6% dell’Umbria, al 29,6% dell’Abruzzo, al 18,7 % della Toscana, con elevati livelli di disuguaglianze soprattutto per quanto riguarda ortaggi, carne e pesce. Questi dati emergono da uno studio pubblicato sulla rivista Social Indicators Research firmato da Stefano Marchetti dell’Università di Pisa e Luca Secondi dell’Università della Tuscia a partire dall'Indagine sulla Spesa delle Famiglie italiane del 2017 dell'Istat.
“L’indagine – sottolinea Stefano Marchetti, professore di statistica del Dipartimento di Economia e Management – non riguarda la povertà assoluta, cioè l’impossibilità di comprare un dato paniere di beni alimentari, ma la povertà relativa, ovvero coloro che hanno una capacità di spesa per alimenti al di sotto di una certa soglia media che in Italia si attesta intorno ai 162 euro procapite, cifra che varia da regione a regione e da ricalibrare nel caso di famiglie numerose”.
Diabete: scoperto un meccanismo che porta alla morte cellulare le cellule pancreatiche che producono insulina
03 Feb 2022 Scritto da Università degli studi di Milano
Un importante studio internazionale del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università Statale di Milano e dell’Ospedale Sacco di Milano in collaborazione con la Harvard Medical School identifica un meccanismo determinante nella perdita di beta cellule in corso di diabete.
La scoperta apre la via ad una opzione terapeutica di grande rilevanza clinica. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Una ricerca sviluppata dai ricercatori del Centro di Ricerca Clinica Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'Università Statale di Milano in collaborazione con altri centri tra cui l’Università di Pisa e la Harvard Medical School di Boston, con la Prof.ssa Francesca D'Addio come primo autore, ha identificato un meccanismo determinante nella perdita di beta cellule in corso di diabete, scoprendo come disattivarlo farmacologicamente. I risultati del lavoro sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale Nature Communications, una delle più prestigiose in ambito di medicina sperimentale con applicazione clinica. Gli scienziati hanno individuato quale fattore determinante per la morte delle cellule pancreatiche il malfunzionamento della interazione tra due recettori - asse IGFBP3 e TMEM219 - scoprendo che il blocco farmacologico dell’asse è in grado di proteggere le beta cellule pancreatiche dalla morte cellulare e di prevenire l’insorgenza di diabete in modelli murini. Questo risultato è stato confermato dall’inibizione genetica selettiva di TMEM219 sulle beta cellule pancreatiche in vivo, che consente di preservare e proteggere la massa beta cellulare in corso di diabete.
Glucosio: scoperto meccanismo che rafforza i vasi sanguigni
02 Feb 2022 Scritto da Università di Padova
Team di ricercatori internazionale apre nuove strade .per sconfiggere diabete e arteriosclerosi
Ricercatori dell'Università di Padova scoprono un meccanismo metabolico che ha un ruolo fondamentale nel rafforzamento dei vasi sanguigni e apre nuove possibili strade per sconfiggere il diabete e l’arteriosclerosi. Il diabete e l’arteriosclerosi, pur avendo caratteristiche differenti, spesso si presentano nello stesso paziente e sono tra le principali problematiche per la salute pubblica nel nostro paese. Il diabete è una malattia caratterizzata dall’aumento nel sangue dei livelli di glucosio e rappresenta una delle sfide della medicina moderna essendo in costante e rapida crescita nel mondo occidentale passando in pochi anni in Italia da una incidenza nella popolazione del 3,8% al 5,8%.
Pubertà precoce: in Italia raddoppiati i casi nelle bambine durante la pandemia
02 Feb 2022 Scritto da Ospedale pediatrico Bambino Gesù
Lo stress causato dall’isolamento e la sedentarietà tra le cause più probabili del fenomeno. Lo studio promosso dal Bambino Gesù insieme ad altri 4 Centri di Endocrinologia pediatrica
I casi di pubertà precoce o anticipata osservati nel semestre marzo-settembre 2020 in Italia sono più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2019: lo dimostra uno studio osservazionale coordinato dall’Ospedale Bambino Gesù che ha coinvolto i centri di Endocrinologia pediatrica dell’Ospedale Gaslini di Genova, del Policlinico Federico II di Napoli, dell’Ospedale Pediatrico Microcitemico di Cagliari e della Clinica Pediatrica Ospedale di Perugia. In totale sono stati rilevati 338 casi contro i 152 dell’anno precedente, con un aumento pari al 122%. Il fenomeno ha interessato soprattutto bambine di età intorno ai 7 anni. Lostudio, pubblicato da Endocrine Connections, conferma i numeri della precedente ricerca del Reparto di Endocrinologia del Bambino Gesù, guidato dal prof. Marco Cappa nell’ambito dell’Unità di Ricerca di Terapie Innovative per le Endocrinopatie (Italian Journal of Pediatrics 2021) e prova a gettare luce sulle cause. Attraverso interviste telefoniche alle famiglie dei pazienti sono stati raccolti i dati necessari per valutare anche i possibili fattori predisponenti.