Lo studio internazionale condotto dal Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli ha individuato in uno specifico enzima la capacità di stimolare la proliferazione delle cellule tumorali legando molecole di RNA. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nucleic Acids Research, supporta con nuove evidenze lo sviluppo di approcci terapeutici innovativi basati su inibitori a RNA
Un nuovo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin, l'Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm), il Centre for Genomic Regulation di Barcellona e l'Istituto catalano di oncologia di Girona, ha messo in luce il ruolo di una proteina, la Serina idrossimetil trasferasi (SHMT) nel sostenere l'elevata capacità proliferativa delle cellule tumorali.

I risultati della ricerca, finanziata dall’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (Airc), sono stati pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research.

Per comprendere i meccanismi alla base della propagazione delle cellule tumorali, soprattutto in tumori particolarmente aggressivi come quello al polmone, è importante capire come le cellule del tumore riprogrammino il loro metabolismo per far fronte alle elevate richieste nutrizionali. I ricercatori hanno osservato che uno specifico RNA è capace di legare l'enzima metabolico SHMT a livello del citoplasma cellulare, controllandone la funzione enzimatica e regolando al contempo l'espressione della forma dello stesso enzima che si trova nel mitocondrio, la centrale energetica della cellula.


La ricerca coordinata dal Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, in collaborazione con il Cnr, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Irccs San Raffaele Pisana, suggerisce l’herpes come fattore di rischio per l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Lo studio, che apre la strada a nuove strategie terapeutiche e preventive, è pubblicato sulla rivista PLoS Pathogens
Le fastidiose vescicole provocate sulle labbra dal virus herpes simplex 1 (HSV-1), che di solito si presentano ripetutamente nel corso della vita, finora non erano mai state associate alla comparsa di patologie neurodegenerative. In particolare, poco o nulla si sapeva dei danni che le numerose recidive di tale infezione possono generare a carico del cervello.

Un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori italiani coordinato da Anna Teresa Palamara del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, nei laboratori affiliati all’Istituto Pasteur Italia, in collaborazione con l’Istituto di Farmacologia traslazionale del Cnr di Roma (Giovanna De Chiara), l’Università Cattolica-Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs (Claudio Grassi) e l’Irccs San Raffaele Pisana, ha messo in luce sperimentalmente, per la prima volta, che il virus herpes simplex può contribuire all’insorgenza dell’Alzheimer. La ricerca, finanziata da fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca (PRIN 2015) e pubblicata sulla rivista PLoS Pathogens, ha aggiunto un importante tassello al filone di ricerca che da anni punta a chiarire il ruolo degli agenti microbici nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

Quattro dipartimenti della Sapienza hanno sperimentato per la prima volta l’applicazione del campo magnetico sui muscoli di pazienti affetti da Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), evidenziando gli effetti positivi della stimolazione. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa fortemente invalidante che colpisce le cellule nervose preposte al controllo dei muscoli, compromettendo i movimenti della muscolatura volontaria. Il target principale degli studi pregressi sono stati i motoneuroni, la cui degenerazione porta all’atrofia muscolare.

Un nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports (Nature Publishing Group), è il risultato della collaborazione di un team interdisciplinare della Sapienza, composto da quattro Dipartimenti (afferenti agli ambiti della biologia molecolare di base, alla anatomia patologica, alla fisiologia, alla clinica) e ha adoperato un approccio traslazionale con metodi differenti, impiegando per la prima volta campi magnetici molto intensi per la stimolazione muscolare, con l’obiettivo di migliorare la funzionalità dei muscoli e rallentarne il declino.

Con la rivoluzionaria tecnica della microscopia elettronica criogenica, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli della Sapienza e del laboratorio IIT@Sapienza, ha osservato che il meccanismo con cui le cellule incorporano il ferro è lo stesso che i virus usano per infettarle. I risultati, pubblicati su Nature Communications, aprono la strada allo sviluppo di farmaci di precisione contro virus e tumori

Il team di ricerca guidato da Beatrice Vallone e Alberto Boffi del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli in collaborazione con il laboratorio IIT @Sapienza, ha osservato per la prima volta la struttura del complesso formato dalla proteina ferritina e il suo recettore cellulare (CD17). L’analisi della struttura del complesso ferritina-recettoreha rivelato un importante meccanismo biologico fino a oggi sconosciuto, ovvero il processo con cui il ferro entra nelle cellule. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Nature Communications, non solo ampliano lo scenario delle conoscenze scientifiche di base, ma hanno anche ricadute pratiche di rilievo.

 

 

Il rischio di dipendenza da altre droghe non è relativo alla tipologia di sigarette, tradizionali o elettroniche contenenti la stessa dose di nicotina, poiché esse aumentano comunque la gratificazione indotta dal Δ9-tetraidrocannabinolo (THC), il principio attivo della marijuana, e quindi ne facilitano l’uso. Lo dice uno studio dell’Istituto di neuroscienze del Cnr pubblicato su European Neuropsychopharmacology, che dà importanti suggerimenti sui meccanismi molecolari alla base di questo effetto

 

Il tabagismo rappresenta indubbiamente un grande problema di sanità pubblica, essendo uno dei maggiori fattori di rischio prevenibile per lo sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, inoltre, l’uso del tabacco può determinare l’insorgenza di disturbi mentali, comportamentali e fisici tipici delle dipendenze. Studi epidemiologici hanno peraltro mostrato che il consumo di tabacco è predittivo per il futuro consumo di altre droghe come cannabis e cocaina. Le sigarette elettroniche contenenti nicotina sono proposte come sostituto per diminuire l'uso delle sigarette convenzionali e gli effetti nocivi del tabacco combusto, ma ancora non è chiaro se l’eventuale beneficio sia estendibile a tutti gli effetti del fumo di tabacco. Ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Cecilia Gotti e Mariaelvina Sala, associato) in collaborazione con colleghi del Dipartimento Biometra delle Università degli Studi di Milano (Milena Moretti e Paola Viani, Francesco Clementi) e di Modena-Reggio Emilia (Michele Zoli) e ai ricercatori finanziati dalla Fondazione Zardi-Gori (Braida Daniela e Luisa Ponzoni)   hanno cercato di chiarire questo aspetto con un lavoro riportato nella rivista European Neuropsychopharmacology: ‘Increased sensitivity to Δ9-THC-induced rewarding effects after seven-week exposure to electronic and tobacco cigarettes in mice’.

“Tabacco e marijuana sono le sostanze usate più comunemente dagli adolescenti a scopo ricreativo, spesso in associazione tra loro, e la frequenza dell’uso della seconda è associata alla dipendenza da nicotina, la principale sostanza d’abuso presente nel tabacco. Inoltre, il lavoro sperimentale dei coniugi Eric (già vincitore del premio Nobel) e Denise Kandel del Department of Neuroscience, della Columbia University NY, ha posto le basi molecolari per capire come la nicotina possa abbassare la soglia per la dipendenza da altre sostanze, come marijuana e cocaina (cosiddetto effetto gateway)”, premette Cecilia Gotti dell’Istituto di neuroscienze del Cnr.

Cuore artificiale “wireless” senza cavi né batterie esterne: i primi pazienti al mondo impiantati in Kazakistan da equipe internazionale ha partecipato Massimo Massetti, Direttore Area Cardiologica Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS
I risultati della sperimentazione clinica appena pubblicati sulla rivista americana “Journal of Heart and Lung Transplantation”. Il dispositivo è risultato sicuro, con riduzione del rischio di infezioni,ha un’autonomia di circa otto ore. Tra alcuni mesi dovrebbe approdare in Italia.
L’expertise di un ricercatore e medico della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica in prima linea in una sperimentazione clinica unica al mondo che ha visto protagonisti due pazienti in Kazakistan ai quali è stato impiantato un cuore artificiale parziale (VAD) che si ricarica in modo “wireless” (senza fili) attraverso una cintura indossabile, che invia la corrente al dispositivo dentro il torace del malato. I pazienti hanno 51 e 24 anni e soffrivano di una insufficienza cardiaca terminale.

 

Massimo Massetti, Direttore Area Cardiologica Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS

Due proteine essenziali per lo splicing (il processo di “taglia e cuci” degli RNA messaggeri) fanno un doppio lavoro. Durante la divisione cellulare, quando lo splicing è sospeso, svolgono una funzione essenziale per la corretta distribuzione dei cromosomi alle cellule figlie. Lo studio, condotto da ricercatori della Sapienza e dell’Istituto di Biologia e patologia molecolari del CNR di Roma, è pubblicato su eLife

La divisione cellulare (mitosi) è un processo complesso che porta alla generazione di due cellule figlie partendo da una cellula madre. Prima della divisione cellulare il DNA, che costituisce il materiale genetico contenente tutte le informazioni necessarie per la funzionalità della cellula, è duplicato e “impacchettato” nei cromosomi, così da poter essere ripartito correttamente tra le due cellule figlie. La corretta esecuzione della mitosiè fondamentale per molti processi vitali e le alterazioni della mitosi contribuiscono ai processi di carcinogenesi.


Il risultato, pubblicato sulla rivista Cell Reports, rivela che specifici RNA sono coinvolti nella Fragile X Tremor Ataxia Syndrome, malattia degenerativa che colpisce il sistema nervoso. Lo studio condotto da ricercatori della Sapienza e del Centre for Genetic Regulation di Barcellona, può migliorare la nostra comprensione di malattie complesse fornendo speranze per nuove cure.
Gravi malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e la SLA, sono associate ad aggregati tossici di proteine che impediscono il corretto funzionamento delle cellule cerebrali. Una nuova ricerca mette in luce il ruolo in questo processo di “ammassamento” proteico nocivo delle molecole di acido nucleico come l’RNA.

Lo studio, realizzato dal Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, in collaborazione con il Centre for Genetic Regulation di Barcellona, ha svelato, con modelli teorici ed esperimenti in laboratorio, il ruolo di uno specifico RNA in una malattia neurodegenerativa chiamata Fragile X Tremor Ataxia Syndrome, o FXTAS, caratterizzata da un tremolio intenzionale e ataxia (movimenti scoordinati). I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Cell Reports.

Lo studio dell’Università di Pisa e del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases statunitense è il primo ad individuare il rischio in un’età così precoce. Per l’Ateneo pisano ha partecipato Paolo Piaggi, “cervello di ritorno” vincitore del programma "Rita Levi Montalcini"

Le persone a rischio obesità si possono individuare già a 10 anni, sono i bambini che per predisposizione genetica hanno un metabolismo “risparmiatore”. Per la prima volta uno studio italo-statunitense dell’Università di Pisa e del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases del Maryland ha individuato il rischio in una età così precoce correlando la misura del metabolismo basale e l’aumento di peso durante l’adolescenza. La ricerca è stata condotta per l’Ateneo pisano dall’ingegnere biomedico Paolo Piaggi, ora al dipartimento del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dopo aver vinto nel 2015 il programma "Rita Levi Montalcini", un progetto del Miur per far rientrare in Italia i giovani ricercatori che lavorano all’estero.


“Il risultato importante di questa ricerca è la dimostrazione che alcuni bambini hanno un ridotto metabolismo il che è probabilmente dovuto ad una predisposizione genetica, hanno cioè un genotipo metabolico “risparmiatore” – spiega Paolo Piaggi - i bambini con questo profilo metabolico dovrebbero essere quindi individuati prima possibile in modo da prevenire l’insorgenza di sovrappeso e obesità nell’età adulta, con tutte le complicanze che questa condizione comporta come ad esempio, il diabete o i rischi cardiovascolari”.


Quando il sovrappeso è eccessivo e bisogna perdere molti chili, dieta, attività fisica, psicoterapia e farmaci potrebbero non bastare. L’unica soluzione efficace diventa la chirurgia bariatrica, cioè un gruppo di interventi che permettono di ridurre il grave eccesso di peso in modo veloce, progressivo e soprattutto stabile. L’obesità è una condizione patologica cronica, evolutiva e recidivante, a patogenesi complessa, che consiste in un'alterazione della composizione del corpo (eccesso assoluto e relativo di grasso), che peggiora la qualità della vita e provoca complicazioni che possono portare ad una morte prematura. Si tratta di uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo. Nel 1997, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto ufficialmente l'obesità come un'epidemia globale.

Secondo l’International Obesity Task Force (IOTF), in Europa, il 50% della popolazione è sovrappeso (circa il 20% degli uomini e il 25% delle donne sono obesi). Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in Italia gli obesi sono aumentati del 25% dal 1994 al 2008. Più di un terzo della popolazione adulta (35,6%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (10,4%).

 

L'eccesso di peso è più diffuso tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44,2% vs 27,6%; obesità: 11,3% vs 9,5%) nelle fascia sociale media e in difficoltà economiche. L’Italia, purtroppo, detiene il primato negativo europeo per sovrappeso ed obesità in età infantile/adolescenziale, rispettivamente del 36% e del 15%. La principale causa dell’obesità è l’eccessiva assunzione di cibo altamente energetico per errate abitudini alimentari o per disturbi del comportamento alimentare. L'impatto di fattori genetici, endocrini e metabolici è ritenuto sostanzialmente trascurabile (0,3 - 0,4% delle obesità). Il chirurgo dell'obesità, insieme al paziente, ha la possibilità di scegliere tra varie soluzioni, quella più adatta al singolo caso. La scelta dipende dall'età, dalle aspettative, dalle abitudini e dagli stili di vita.

 

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