Alice Mado Proverbio, professoressa di Neuroscienze all'Università di Milano-Bicocca

 

Una serie di esperimenti ha evidenziato la possibilità di misurare la presenza di pregiudizi inconsci, registrando le risposte bioelettriche di errore durante la lettura di frasi che contrastano con gli stereotipi di genere, soprattutto nei maschi. La chiave? Il potenziale bioelettrico N400. Lo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca è stato pubblicato sulla rivista Brain and Language.

 

Milano, 13 settembre 2018 – Professione e stereotipi di genere: gli uomini hanno pregiudizi “automatici” più marcati rispetto alle donne. Misurando i potenziali bioelettrici cerebrali che derivano dall’attività mentale dei partecipanti, la sperimentazione portata avanti nei laboratori dell’Università di Milano-Bicocca ha evidenziato la presenza di risposte automatiche ampie e precoci in presenza di elementi che contrastano con gli stereotipi di genere, soprattutto negli uomini. I dati raccolti suggeriscono quindi una differenza di genere nella stereotipizzazione relativa all’occupazione.

 

Lo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca (A.M. Proverbio, A. Alberio, F. De Benedetto, Neural correlates of automatic beliefs about gender stereotypes: males are more prejudicial, DOI: 10.1016/j.bandl.2018.08.006) è stato pubblicato sulla rivista scientifica Brain and Language. Lo scopo della ricerca: indagare le basi neurali della rappresentazione degli stereotipi e in particolare la presenza di pregiudizi di genere.

 

Figura 1 – Dove sono rappresentati i pregiudizi? Le aree cerebrali più attive nella rappresentazione degli stereotipi di genere erano la corteccia prefrontale mediale di destra e il giro temporale mediale di destra.

Nell’immagine, sezioni cerebrali (sagittale e assiale) che mostrano le regioni attive durante l’elaborazione delle frasi che violavano il pregiudizio di genere, secondo l’analisi swLORETA. Sono state ottenute sottraendo i segnali registrati nella condizione congruente da quella incongruente nella finestra temporale di 350-450 millisecondi post-stimolo, che corrisponde al picco N400.

 

Questi stereotipi di tipo occupazionale che riguardano la professione di uomini e donne non si formano in modo volontario e non riguardano la nostra concezione morale della società, ma sono rappresentazioni mentali in una certa misura inconsce ed inconsapevoli che si legano alle nostre aspettative, trovano la loro origine nella nostra esperienza di vita e nell’esposizione ai media. Secondo i ricercatori, le donne li recepiscono diversamente perché vivono alcuni di questi pregiudizi soggettivamente, sulla propria pelle, mentre gli uomini li osservano prevalentemente nell’ambiente esterno.

 

Come hanno fatto i ricercatori a raggiungere queste conclusioni? A tutti coloro che hanno partecipato alla sperimentazione sono state presentate centinaia di frasi in italiano, tra le quali alcune costruite ad arte per creare determinate aspettative e poi confermare o violare pregiudizi di genere come l’associazione in campo professionale di forza fisica e potere agli uomini, e di empatia, delicatezza e cura del prossimo alle donne. Alcuni esempi di frasi non congruenti con questi pregiudizi, con personaggi maschili, erano: “Preparò il sugo e si fece la barba”; “Lasciò il pattinaggio artistico quando divenne padre”; “Stese i panni e raggiunse la moglie”. In modo speculare, con personaggi femminili: “Il notaio sta allattando”; “Cadendo dal tetto, l’antennista si è quasi ammazzata”; “L’ingegnere ha macchiato la sua gonna”.

 

Statisticamente è stato individuato un picco nel potenziale elettrico N400: quando la frase terminava in modo da rivelarsi incongruente con lo stereotipo di genere si attivavano varie regioni cerebrali, alcune delle quali coinvolte anche nella rilevazione delle violazioni semantiche e sintattiche, quasi come se si trattasse di un errore grammaticale. Le differenze maggiori, rispetto alle reazioni riscontrate di fronte a frasi neutre o congruenti con gli stereotipi, sono state osservate nei partecipanti maschi: la risposta automatica a N400 era infatti particolarmente precoce, dai 250 ai 400 millisecondi.

 

A livello anatomico, le regioni cerebrali maggiormente interessate da queste risposte bioelettriche sono la corteccia prefrontale mediale, coinvolta anche nella rappresentazione del pregiudizio etnico, la corteccia temporale mediale destra, che gestisce vari tipi di informazioni sulle persone (aspetto, voce, che cosa fanno tipicamente), e la giunzione temporoparietale, che è legata all’attribuzione di una mente agli esseri animati.

 

La ricerca è stata condotta su un campione formato da 38 partecipanti, 19 maschi e 19 femmine, presso il Bicocca ERP Lab in condizioni di isolamento da luci, rumori e altre interferenze, registrando i potenziali evento-correlati (Event-related potential) mediante elettroencefalografia, con una cuffia tecnologica dotata di 128 elettrodi. Nel corso delle rilevazioni, i partecipanti erano ignari del reale scopo della ricerca ed erano prevalentemente impegnati a riconoscere frasi che contenessero nomi di animali, pensando che lo studio sperimentale vertesse appunto su questa capacità. I dati raccolti sono stati poi confrontati e integrati con la tomografia a bassa risoluzione swLORETA.

 

«Un ruolo rilevante nella formazione degli sterotipi è giocato dai media tradizionali – commenta Alice Mado Proverbio, professoressa di Neuroscienze all’Università di Milano-Bicocca – e per i più giovani soprattutto da contenuti del Web come i video on-line. La continua esposizione a contenuti gender-biased, in cui la donna appare più frequentemente associata al ruolo di vittima o di puro oggetto estetico, piuttosto che ad esempio di manager, scienziata, persona dotata di forza, capacità e coraggio, contribuisce fortemente a creare una rappresentazione alterata, soprattutto nella mente maschile che ha meno elementi soggettivi e autobiografici per essere in disaccordo con lo stereotipo».


I ricercatori del Dipartimento di Fisica, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia e l’Istituto di Nanotecnologia del Cnr, hanno dimostrato che è possibile realizzare ritratti utilizzando batteri geneticamente modificati come “vernice” vivente e la luce come pennello
Utilizzando un ceppo di Escherichia coli geneticamente modificato, i ricercatori del Dipartimento di Fisica, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia e l'Istituto di Nanotecnologia del Cnr, hanno osservato come questi batteri si accumulano laddove lo spazio di movimento è ridotto, proprio come accade alle auto che nel traffico cittadino si raccolgono in aree dove la loro velocità diminuisce. Sfruttando questa capacità, il team ha realizzato riproduzioni quasi perfette di immagini complesse, come a esempio la Gioconda di Leonardo.

 


Sottovalutato il pericolo che corrono i giovani che consumano alcolici in grande quantità anche se solo nel fine settimana. È quanto emerge dai risultati di uno studio condotto presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e pubblicato sulla prestigiosa rivista “Scientific Reports”.
Le abbuffate alcoliche (il binge drinking o il bere tanto tutto in una sera) tipiche di molti giovani (che magari si limitano a bere al sabato sera e non toccano un dito di alcol durante la settimana) potrebbero portare allo sviluppo di alcol-dipendenza.

Lo dimostra uno studio effettuato presso la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – Università Cattolica e pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports del gruppo editoriale di Nature, dal team del professor Giovanni Addolorato, direttore dell’Unità Operativa Semplice di Area (UOSA) Patologie Alcol correlate all’interno della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia, e del professor Antonio Gasbarrini, direttore Area Gastroenterologia ed Oncologia Medica. Il binge drinking è una modalità di assunzione di alcolici che nell’ultimo decennio si è notevolmente diffusa nel nostro Paese anche fra gli adolescenti. È caratterizzata dall’assunzione di oltre 4-5 Unità Alcoliche (drinks) in unica occasione e in breve tempo, lontano dai pasti e per avvertire gli effetti psicotropi del cosiddetto ”sballo”.

Una unità alcolica, pari a circa 12,5 grammi di etanolo, corrisponde a circa 125 millilitri di vino a media gradazione – quindi un bicchiere - o 330 mL di birra – una lattina o una bottiglia - o 30 mL di super alcolici – un bicchierino da bar.

 Lo studio osservazionale coordinato dai Professori Giovanni Addolorato e Antonio Gasbarrini, dell’Istituto di Patologia Speciale Medica dell'Università Cattolica, ha dimostrato che tale comportamento, spesso ritenuto - sottostimandone la reale pericolosità - un “normale passaggio adolescenziale” è un fattore di rischio per lo sviluppo di alcol-dipendenza.

Finanziato dalla Fondazione Roma e dalla Fondazione Italiana per la Ricerca sulle Malattie Epatiche (FIRE), lo studio ha coinvolto 2704 giovani di età compresa tra i 13 e i 20 anni che frequentavano le scuole superiori della Capitale e di altre città del Lazio. I ragazzi hanno compilato questionari per valutare il loro consumo di bevande alcoliche, di fumo, l’uso di droghe e il quadro psicologico individuale. Circa l’80% del campione ha dichiarato di consumare bevande alcoliche (nonostante nel nostro Paese la vendita di alcolici ai minori sia vietata e nonostante la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità contraria al consumo di bevande alcoliche negli adolescenti).

 


Un percorso specifico, un vero e proprio "codice lilla", per aiutare gli operatori sanitari ad accogliere i pazienti in pronto soccorso e avviarne da subito il giusto cammino terapeutico. Ma anche raccomandazioni specifiche ai familiari per renderli consapevoli delle forme di disagio, soprattutto iniziale e a volte nascosto, dei loro parenti, che puo' sfociare in gravi problemi sanitari". Sono queste le principali novita' di due documenti pubblicati dal Ministero della Salute per far fronte a disturbi alimentari.

"I disturbi della nutrizione e dell'alimentazione - scrive il Ministero - sono ormai uno dei piu' frequenti fenomeni sanitari, in particolare tra gli adolescenti e i giovani adulti. Anche per questo, per la potenziale gravita' degli sviluppi che puo' avere una patologia non diagnosticata per tempo o non adeguatamente seguita e curata, un Tavolo di lavoro specifico coordinato dal ministero della Salute ha elaborato le 'Raccomandazioni per interventi in Pronto Soccorso per un Codice Lilla" e le "Raccomandazioni per i familiari'".


Un nuovo studio, coordinato dalla Sapienza, ha individuato in topi sottoposti a stress emotivo prolungato l’attivazione di sequenze di Dna mobili in specifiche regioni del cervello. Questi elementi sono in grado di alterare le funzioni del genoma con possibili effetti nocivi sull’organismo. I risultati della ricerca sono pubblicati sulla rivista Stress, The International Journal on the Biology of Stress
Il lavoro coordinato da Lucia Piacentini e Arianna Rinaldi del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza suggerisce una base genetica per i possibili danni alla salute dovuti a un forte stress emotivo. I ricercatori hanno osservato che nei topi, modello animale “vicino” all’uomo per molte caratteristiche molecolari, l’esposizione prolungata a condizioni di stress è in grado di indurre l’attivazione incontrollata di elementi genetici mobili (trasposoni) e dunque possibili gravi conseguenze per l’organismo. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Stress, The International Journal on the Biology of Stress.

 
Sta destando scalpore nella comunita' scientifica uno studio appena pubblicato sulla rivista Gut che dimostra come l'obesita' nell'adolescente rappresenti un importante fattore di rischio per cirrosi epatica e tumore del fegato. Lo studio e' stato condotto su 1,2 milioni di giovani maschi svedesi dell'eta' compresa tra 17 e 19 anni, nati tra il 1951 e il 1976, i cui dati erano stati raccolti nei registri nazionali al momento della chiamata al servizio militare tra il 1969 ed il 1996, quando in quegli anni il servizio di leva era obbligatorio per cui tutti i ragazzi, eccetto una modesta percentuale del 2-3%, erano stati registrati (HagstromGut 2018).

"La Societa' Italiana di Gastroenterologia e Endoscopia digestiva (Sige) e' fortemente impegnata nella ricerca di base e nella ricerca clinica sulle malattie epatiche causate dal sovrappeso e dalla obesita'- sottolineano il presidente Domenico Alvaro e la vicepresidente Patrizia Burra- Il forte messaggio che emerge dal lavoro appena pubblicato dai colleghi svedesi sul rapporto tra obesita' negli adolescenti e rischio di sviluppare nell'eta' adulta malattia del fegato con progressione in fibrosi e cirrosi e sviluppo del tumore epatico, rappresenta un ulteriore stimolo alla ricerca in Gastroenterologia ed Epatologia per prevenire le malattie del fegato, intervenendo sul controllo di fattori di rischio modificabili, come l'alimentazione, il peso corporeo, l'uso inadeguato di bevande alcoliche".
 
 
Pubblicato dalla rivista 'Scientific Reports' il risultato della prima evidenza sperimentale dei metaboliti rilasciati durante il differenziamento in vivo delle cellule staminali pluripotenti. La ricerca, diretta dai Professori Corrado Di Natale e Federica Sangiuolo, ha coinvolto i Dipartimenti di Ingegneria Elettronica, Biomedicina e Prevenzione, e Scienze e Tecnologie Chimiche dell'Universita' degli Studi di Roma Tor Vergata.

Questo risultato sostanzia un risultato precedente ottenuto in vitro dallo stesso gruppo di ricerca. Per la prima volta e' stata registrata su modelli animali un cambiamento del profilo dei composti volatili rilasciati da cellule staminali hiPSCs ("l'odore della cellule") che segnala con estrema precisione il momento esatto in cui tali cellule iniziano il loro processo di differenziamento. Le cellule iPS sono cellule staminali, derivate da cellule somatiche in cui e' stato riportato indietro l'orologio biologico. Sono in grado di differenziare in qualsiasi tipo di cellula umana specializzata, capace di svolgere funzioni specifiche (come fegato, polmoni, cuore).
 
Subire traumi nell'infanzia espone la persona a maggiori rischi di dipendenza dalla cocaina. Un ruolo importante in questo fenomeno sembra averlo il sistema immunitario. Questo il risultato di uno studio realizzato della Fondazione Santa Lucia Irccs in collaborazione con le Universita'di Roma Sapienza e Tor Vergata. I ricercatori hanno analizzato 40 persone in trattamento per il disturbo di dipendenza dalla cocaina, osservando che l'esposizione a tale sostanza aveva indotto un'alterazione nel funzionamento del sistema immunitario.

Sorprendentemente, questa condizione era particolarmente marcata nei soggetti che durante la loro infanzia avevano subito abusi e maltrattamenti. "Il maltrattamento, soprattutto emotivo, provoca nel bambino uno stress capace di attivare una risposta infiammatoria abnorme e di alterare la maturazione del sistema immunitario con una modifica permanente del suo funzionamento- spiega la dottoressa Valeria Carola, Ricercatrice del Laboratorio di Neurobiologia del Comportamento dell'Irccs Santa Lucia e coordinatrice della ricerca- Dal momento che la cocaina si lega ai recettori TLR4 del sistema immunitario per produrre i suoi effetti, questa particolare sensibilita' del sistema immunitario rende il soggetto piu' esposto al rischio di dipendenza e di ricadute durante l'astinenza. In piu' aumenta per il soggetto il rischio di malattie del sistema nervoso centrale indotte dall'abuso di sostanze, innanzitutto l'ictus". Attraverso l'osservazione incrociata di dati raccolti mediante analisi del sangue e di funzioni biologiche del sistema nervoso centrale, i ricercatori hanno anche dimostrato che l'alterazione del sistema immunitario in eta' precoce contribuisce a modificare la formazione del sistema dopaminergico.


È il quadro che emerge dai risultati di uno studio condotto presso la Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS – Università Cattolica del Sacro Cuore e pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Psychiatry”.
È elevata la prevalenza degli adolescenti italiani con comportamenti a rischio di dipendenza da sostanze e non solo: oltre il 22% dei giovani che frequentano le scuole superiori presenta un rapporto disfunzionale con il Web. È il dato che emerge da uno studio effettuato presso la Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS – Università Cattolica del Sacro Cuore e pubblicato sulla prestigiosa rivista “Frontiers in Psychiatry”.

La ricerca è stata condotta dal Dottor Marco Di Nicola e coordinata dal Professor Luigi Janiri dell’Unita operativa Complessa del Gemelli e Istituto di Psichiatria e Psicologia dell’Università Cattolica e dimostra anche una relazione tra l’uso problematico di Internet ed un peggiore rendimento scolastico, oltre che alcuni tratti di personalità e caratteristiche psicologiche già associati al rischio di sviluppare disturbi psichici.



In relazione ai recenti casi di morsi di ragno violino che hanno interessato i media e la popolazione, il Centro Antiveleni della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, che in questi giorni sta ricevendo numerose telefonate da cittadini allarmati, ha elaborato una scheda - questionario informativa per fare chiarezza sulla reale pericolosità dell'aracnide con l'obiettivo di fugare paure ingiustificate.

Le risposte che seguono sono state redatte dal dott. Maurizio Paolo Soave

 Il recente allarme sul ragno violino è giustificato da dati reali ?

L’allarme sul ragno violino veicolato dai giornali e dai social media ha provocato un significativo aumento delle chiamate ai Centri Antiveleni e degli accessi ai Dipartimenti di Emergenza degli Ospedali. Il ragno violino è sempre stato presente in Italia e non esistono dati che giustifichino un aumento del livello di attenzione rispetto alla pericolosità dell’esposizione dell’uomo al morso del ragno.

 

Il ragno violino è aggressivo ?

No, è un animale schivo e solitario. Non attacca e si difende solo se disturbato.

Si sono verificati recentemente fenomeni ambientali o climatici che possono aver causato una infestazione da ragno violino ?

La riproduzione degli aracnidi varia in base a condizioni e fattori non sempre prevedibili e misurabili. Non esistono dati in favore di una particolare significatività della riproduzione del ragno violino e in ogni caso non si può parlare di fenomeni di infestazione

 

La presenza del ragno violino in Italia è un fenomeno biologico nuovo ?

Il ragno violino è da sempre presente nel Lazio e in Italia e casi di morsi sono da sempre raccolti e documentati dai Centri Antiveleni.

 

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