Nei due terzi dei casi la malattia esordisce durante l’infanzia, va trattata tempestivamente perché può portare allergie e asma. Al convegno anche il punto su melanomi e altri tumori della pelle. Piergiacomo Calzavara Pinton (Direttore dell'Unità di dermatologia agli Spedali civili di Brescia e presidente di Sidemast): "Nel 2017 in Italia sono stati circa 14.000 i nuovi casi di melanoma della cute"

La dermatite atopica è la più comune malattia infiammatoria della pelle. Colpisce il 15-20% dei bambini, dà prurito talvolta così intenso da impedire di studiare, dormire, concentrarsi. Solo un terzo di queste forme esordisce in età adulta, mentre i due terzi sono una scomoda ‘eredità’ dell’infanzia. Nel bambino va trattata subito perché bloccarla significa, in molti casi, evitare l’esordio di allergie e asma. Ma la novità è che anche molti adulti ne soffrono: una recente indagine internazionale che ha coinvolto anche l’Italia, evidenzia nel nostro paese un'incidenza di dermatite atopica fino all'8 % degli over 18. Lo rivela uno studio pubblicato di recente dalla rivista Allergy condotto da uno staff internazionale di specialisti, tra cui il Prof. Giampiero Girolomoni, Direttore Clinica Dermatologica dell’Università di Verona e co-presidente del 93° congresso nazionale della Sidemast che si terrà a Verona dal 23 al 26 maggio alla presenza di oltre 1.000 specialisti provenienti da tutta Italia. 

La ricerca è stata effettuata su un campione di 100.000 persone adulte residenti in Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito e Giappone. 
Il risultato è sorprendente. L’Italia è il paese dove si registra la maggior incidenza di dermatite atopica negli adulti: l’8,1% degli intervistati ammette di soffrirne, a fronte di una media del 4,9% emersa dalla totalità del campione. 
Ma sotto i riflettori del Congresso anche i tumori della pelle, in particolare il melanoma, in continuo aumento. In questo ambito appare sempre più evidente l’importanza della diagnosi precoce per identificarne la fase inziale di crescita e quindi limitare la possibilità di dare origine a metastasi. Durante il Congresso SIDeMaST si affronteranno tutte le novità riguardanti l’utilizzo di strumenti diagnostici all’avanguardia quali la dermatoscopia e la microscopia confocale. “Nel 2017 in Italia sono stati circa 14.000 i nuovi casi di melanoma della cute, 7.300 tra gli uomini e 6.700 tra le donne – spiega il prof. Piergiacomo Calzavara Pinton, Direttore dell'Unità di dermatologia agli Spedali civili di Brescia epresidente di Sidemast -.

 

 

 

Fondamentali i nuovi farmaci anti HCV

Lo scorso 8 marzo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il protocollo che ha definitivamente introdotto la possibilità di trapiantare organi tra soggetti con infezione da HIV

 

HIV E MORTALITA’ - La disponibilità delle terapie antiretrovirali ha determinato un’importante diminuzione della mortalità per la malattia da HIV nelle persone con l’infezione. La morte delle persone con infezione da HIV è pertanto correlata ad altre patologie concomitanti: tra queste, l’insufficienza epatica dovuta a cirrosi o il cancro del fegato e l’insufficienza renale, le quali sono più frequenti nelle persone con HIV che nella popolazione generale. Lo scompenso cardiaco e l’insufficienza polmonare hanno una frequenza simile alla popolazione generale. Per questo motivo, all’inizio degli anni Duemila, sono stati avviati in molti paesi del mondo, tra cui l’Italia, programmi per il trapianto di fegato, rene, cuore e polmone nei pazienti con infezione da HIV.

I risultati di questi programmi sono stati sovrapponibili a quelli registrati nei pazienti senza infezione da HIV, in particolare nei trapianti di fegato; alla base di questo successo, la disponibilità dei nuovi farmaci anti HCV. È infatti adesso possibile eradicare l’epatite C a partire da otto settimane grazie alle nuove molecole. I nuovi farmaci sono già disponibili nei centri pubblici nelle diverse unità operative complesse degli ospedali, di infettivologia, epatologia e medicina interna. L’epatite cronica da virus C è una malattia che, in virtù della sua cronicità, provoca un processo che va spontaneamente avanti nel tempo fino a compromettere strutturalmente e funzionalmente il fegato. Si stima che in Italia ci siano circa 300.000 pazienti diagnosticati con Epatite C (HCV) e un numero imprecisato di persone inconsapevoli di aver contratto l’infezione, per un totale stimato che va oltre il milione di persone.L'implementazione dei farmaci anti HCV nel trattamento dei trapiantati ha incrementato la sopravvivenza dei soggetti con coinfezione Hiv Hcv bloccando la rapida progressione della recidiva di Hiv sul fegato trapiantato” aggiunge il dott. Puoti.

 

Sulla rivista internazionale “Human Vaccines and Immunotherapeutics”, l’analisi dell’Università di Pisa su 560 video pubblicati dal 2007 al 2017

In tema di vaccini e autismo, su YouTube domina la disinformazione. E’ questo quanto emerge da una recente analisi condotta all’Università di Pisa e pubblicata sulla rivista scientifica “Human Vaccines and Immunotherapeutics”. Lo studio coordinato dal professore Luigi Lopalco, direttore del centro interdipartimentale ProSIT, e dalla professoressa Annalaura Carducci, direttore dell’Osservatorio della Comunicazione Sanitaria (OCS), è stato condotto su 560 video caricati su YouTube dal 2007 al 2017 e relativi al collegamento tra vaccini e autismo o altri gravi effetti collaterali sui bambini.
In particolare, i ricercatori hanno evidenziato come il tono dell’informazione sul tema sia principalmente negativo e come l’informazione istituzionale sia praticamente assente su questo mezzo di informazione. Il tutto incrementato da una sorta di “effetto valanga” dovuto al fatto che il numero annuale di video caricati è aumentato durante il periodo considerato con un picco di 224 nei primi sette mesi del 2017. 
“A partire dal 2012 si è assistito in Italia ad un calo della fiducia nelle vaccinazioni che si è tradotto in una pericolosa diminuzione dei livelli di copertura vaccinale – sottolinea Lopalco – da questo punto di vista, la disinformazione diffusa ad arte su Internet sembra essere un fattore determinante considerato che moltissime persone usano il web come fonte di informazione e che nel 2016, ad esempio, il 42,8% dei cittadini italiani ha utilizzato internet per informarsi sui vaccini”.
Ma non è la prima volta che il gruppo di ricerca dell’Ateneo pisano si occupa del rapporto Intenet e vaccini. In un articolo pubblicato nel 2017 sulla rivista scientifica “Vaccine”, gli studiosi dell’Ateneo infatti avevano già osservato un legame fra il calo delle vaccinazioni contro morbillo, parotite e rosolia e, in quel caso, una notizia di cronaca diffusa attraverso siti web italiani di disinformazione antivaccinista a partire dal 2012.

 

“Tutte le epidemie di Ebola descritte fino ad ora sono state la conseguenza di un nuovo spillover (un nuovo ‘uscire’) del virus dalla foresta - sottolinea il Prof. Massimo Galli Presidente della Simit Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali - cioè di un nuovo passaggio da un animale serbatoio all’uomo. Il contenimento del nuovo focolaio può ora avvalersi della procedura di vaccinazione ‘ad anello’, che prevede la vaccinazione delle persone che sono state a contatto con una persona malata e che si è dimostrata efficace in Guinea nel 2015”

 

È di nuovo pericolo Ebola dopo meno di 5 anni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha segnalato un focolaio di malattia da virus Ebola nella provincia dell’Equateur della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Al 16 maggio, sono già riportati sono 44 casi. L’epidemia ha avuto origine nell’area di Bikoro, in prossimità del lago Tumba, non lontano dal fiume Zaire e dal confine con la Repubblica del Congo (Congo Brazzaville). Otto casi sono stati segnalati anche nell’area di Iboko, ma a destare particolare preoccupazione sono i due casi diagnosticati in Mbandaka, una città di un milione e duecentomila abitanti che dista circa 80 Km dal focolaio iniziale.

“Il virus implicato in ogni epidemia è risultato sempre un po’ diverso da quello delle precedenti epidemie. Non esiste, quindi, un serbatoio di portatori umani dell’infezione: ogni focolaio, anche il peggiore di tutti, si è esaurito quando è stato possibile arrestare la diffusione interumana ed il ceppo virale implicato non è successivamente ricomparso come responsabile di infezioni umane” - precisa il Prof. Massimo Galli Presidente della SIMIT Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali dinanzi alla nuova ondata del virus. “Al contrario, il serbatoio animale è vasto, comprende probabilmente più specie di pipistrelli della frutta ed ancora mal definito”.

 L’ultima invenzione del Politecnico di Milano è un dispositivo biodegradabile, iniettabile nella camera posteriore dell’occhio, per il trattamento delle patologie retiniche, più precisamente della maculopatia. Si chiama Mag Shell ed è in grado di rilasciare precise dosi di farmaco ad intervalli di tempo predefiniti. Il nuovo dispositivo potrà sostituire le plurime iniezioni intravitreali di farmaci necessarie nel trattamento di patologie oftalmiche come l’edema maculare diabetico e la degenerazione maculare senile essudativa. Avere diverse dosi di farmaco pre-caricate per trattare queste patologie è ideale poiché eviterebbe di sottoporre il paziente a numerose iniezioni che, oltre ad essere fastidiose, sono un potenziale rischio di infezione. Mag Shell è costituito da strati o gusci di materiale biodegradabile alternati a dosi di farmaco.

Un team coordinato dall’Istituto di biologia e patologia molecolare del Cnr ha dimostrato che nelle piante la fertilità maschile è collegata a uno specifico messaggero del gene ARF8. L’indagine, pubblicata su Plant Cell, implica importanti ricadute in piante di interesse agrario di tipo ibrido che mostrano un maggior vigore rispetto a quelle prodotte per autofecondazione

 

L’immagine a sinistra mostra gli stami corti nel fiore della linea mutante arf8-7 che è difettiva del gene ARF8. L’immagine a destra mostra un ripristino della lunghezza degli stami nel fiore che esprime solo la variante di splicing ARF8.4.

 

La fertilità maschile in ambito vegetale dipende da un nuovo messaggero di un gene. Lo ha scoperto un team coordinato dall’Istituto di biologia e patologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm), unità di Roma, in collaborazione con l’Università di Kyoto e il Riken Institute di Yokohama, nell’ambito dei progetti bilaterali (Italia – Giappone) di grande rilevanza finanziati dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plant Cell, implica importanti potenziali ricadute in ambito agrario, poiché aiuterà la produzione di sementi ibride in specie coltivate, come riso, melanzana, pomodoro e molte altre.

“Sappiamo che la fertilità o capacità riproduttiva maschile delle piante è regolata dall’ormone auxina. La nostra indagine ha preso quindi in esame il fattore di trascrizione ARF8 (il gene Auxin Response Factor 8) che media gli effetti di questo ormone”, spiega Maura Cardarelli, primo ricercatore del Cnr-Ibpm. “L’obiettivo è stato capire come questo gene contribuisca alla fertilità maschile nelle piante in grado di autofecondarsi. Per questo motivo abbiamo lavorato su Arabidopsis, una specie spontanea presa comunemente a modello in quanto contiene sia gli organi fiorali maschili sia quelli femminili ed è quindi autogama, cioè si autofeconda. L’autofecondazione è una caratteristica negativa che va eliminata nelle piante coltivate. Infatti, la conseguenza è una maggiore consanguineità e le piante ‘prodotte’ per autofecondazione sono più deboli di quelle ibride, prodotte per incrocio tra due piante diverse. Per questo motivo in agricoltura vengono utilizzate sementi ibride e la loro produzione è favorita dalla ridotta fertilità maschile”.

 
Scoperta una nuova malattia che provoca una grave forma di encefalopatia con deficit neurologici ed epilessia, a causarla e' una mutazione del gene ATP6V1A. E' l'eccezionale risultato dello studio scientifico pubblicato dalla prestigiosa rivista internazionale "Brain", realizzato dal team di ricercatori del Centro di Eccellenza di Neuroscienze dell'Ospedale pediatrico Meyer e dell'Universita' di Firenze, diretti dal professore Renzo Guerrini, insieme ai gruppi dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell'Universita' di Genova diretti dai professori Fabio Benfenati e Anna Fassio, insieme a un network di Centri internazionali la cui collaborazione e' stata resa possibile in virtu' della presenza del pool fiorentino a capo del progetto europeo dal nome Desire (acronimo di "Development and Epilepsy - Strategies for Innovative Research to improve diagnosis, prevention and treatment in children with difficult to treat Epilepsy") per lo studio delle cause dell'epilessia infantile, che coinvolge 25 partner di 11 Paesi e oltre 250 ricercatori in 19 Centri interessati dalla ricerca clinica e di base. Lo studio e' partito dagli approfondimenti genetici con sequenziamento esomico del Dna, effettuati al Meyer per individuare una possibile causa genetica in una bambina di 9 anni che presentava quella che si pensava fosse una rara encefalopatia, associata ad epilessia e gravi deficit neurologici. Il sequenziamento esomico e' lo studio di tutte le regioni codificanti di ogni gene, dette esoni, del Dna umano, una procedura talvolta applicata anche in ambito diagnostico, ma limitatamente ai geni gia' noti per la loro associazione a patologia umana e che, in questo caso, e' stato possibile utilizzare per finalita' di ricerca collegate al progetto Desire estendendola anche ai geni per i quali non sono ancora note le conseguenze delle mutazioni.

 

Lo studio è stato condotto dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Unità di oftalmologia dell’Ospedale Versilia

Un team di ricercatori ha individuato un nuovo metodo più efficace per somministrare i farmaci nel trattamento delle degenerazioni retiniche come la maculopatia. La novità arriva dal dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa dove Susi Burgalassi, Daniela Monti, Nadia Nicosia, Silvia Tampucci, Eleonora Terreni e Patrizia Chetoni hanno condotto uno studio sperimentale in collaborazione con Andrea Vento Direttore dell’Unità di oculistica dell’Ospedale Versilia di Viareggio. La ricerca finanziata con i fondi di Ateneo è stata appena pubblicato sulla rivista “Drug Delivery and Translational Research”, giornale ufficiale della Controlled Release Society.
Ad oggi per la cura delle degenerazioni retiniche viene principalmente utilizzato il Bevacizumab, un farmaco che blocca la genesi vascolare della malattia, e la sua somministrazione avviene mediante iniezioni intraoculari all’interno del corpo vitreo ripetute, generalmente, a cadenza mensile. 
“Queste ripetizioni aumentano il rischio e la gravità degli effetti collaterali che, in alcuni casi, possono essere anche molto seri – spiega Susi Burgalassi dell’Università di Pisa - del resto, la macromolecola del Bevacizumab non supera le barriere oculari in quantità terapeuticamente sufficienti se somministrato per via topica, cioè attraverso un semplice collirio”.
La soluzione sperimentata è stata quindi quella di mettere a punto un millimetrico impianto da inserire nell’occhio sotto la congiuntiva per il rilascio prolungato del farmaco, che si “dissolve” naturalmente una volta esaurito il suo compito. Si tratterebbe cioè di una “matrice” ottenuta mediante liofilizzazione e realizzata con un polimero che deriva dalla cellulosa.
“La possibilità di dosare il farmaco attraverso questo sistema, pur mantenendo un certo grado di invasività, porterebbe ad una diminuzione della frequenza di somministrazioni, con conseguente diminuzione dell’incidenza di effetti collaterali”, aggiunge Susi Burgalassi. 


Il risultato dello studio, coordinato dai ricercatori dell’Istituto di Anatomia Umana e Biologia cellulare della sede di Roma dell’Università Cattolica, in collaborazione con l’UOC di Neurochirurgia Infantile della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, apre la strada al disegno di nuovi test diagnostici più specifici per le craniosinostosi, malformazioni congenite del cranio causate dalla prematura ossificazione delle suture.
Si chiama BBS9 il gene coinvolto nel processo di craniosinostosi, malformazione congenita, diagnosticata alla nascita o nei mesi immediatamente successivi, legata alla prematura ossificazione e chiusura delle suture, che sono regioni elastiche nel cranio del neonato. La scoperta, di recente pubblicata sulla rivista scientifica “Bone”, è frutto dell’attività di ricerca, coordinata dalla dottoressa Wanda Lattanzi, ricercatrice dell’Istituto di Anatomia Umana e Biologia Cellulare della sede di Roma dell’Università Cattolica, diretto dalla professoressa Ornella Parolini, in collaborazione con l’Istituto di Anatomia Umana e Biologia Cellulare e della sede di Roma dell’Università Cattolica e l’Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia Infantile della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. La craniosinostosi ha una prevalenza di 1 caso ogni 2000-2500 nati vivi; in Italia si stimano circa 180 nuovi casi all’anno, di cui circa 100 sarebbero casi di “craniosinostosi non sindromica”, che sono le forme studiate dal gruppo di ricerca. Lo studio, ha coinvolto 16 pazienti, fra gli oltre 400 reclutati presso questo centro, dovevengono trattati chirurgicamente in media 50-70 pazienti all’anno affetti da craniosinostosi, cioè oltre il 50% dell’intera casistica italiana.

 

Un gruppo di ricerca della Sapienza ha individuato nell’olio extravergine di oliva il componente responsabile della riduzione dei livelli di glucosio nel sangue post-prandiale. Lo studio, pubblicato su British Journal Clinical Pharmacology, apre nuove strade alla lotta contro il diabete

Eat well, stay well. Questo il manifesto della dieta mediterranea, il modello nutrizionale che ha ricevuto l’onorificenza di "patrimonio orale e immateriale dell’umanità" per le ricadute positive che ha sulla salute. A oggi sempre più studi vanno nella direzione di verificare come alcune componenti alimentari siano in grado di prevenire determinate patologie e aumentare la qualità e la durata della vita.

In un precedente studio il gruppo guidato da Francesco Violi del Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche della Sapienza, ha dimostrato che l’assunzione di 10 g. di olio extravergine di oliva durante i pasti era in grado di ridurre di 20 mg la glicemia post-prandiale. Dalla ricerca era emerso che l’extravergine di oliva si comporta come un antidiabetico con un meccanismo simile ai farmaci di nuova generazione, cioè le incretine (ormoni naturali prodotti a livello gastrointestinale che riducono il livello della glicemia nel sangue). L’assunzione di olio extravergine di oliva si associa, infatti, a un aumento nel sangue delle incretine.

 

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