Geografia

Geografia (105)

 

Un paese fragile: la fotografia del rischio idrogeologico

L'Italia è un territorio magnifico ma fragile, dove la bellezza del paesaggio convive con un'elevata vulnerabilità a frane e alluvioni. La crisi climatica, con i suoi eventi meteorologici sempre più estremi, non fa che acuire questa fragilità. A certificarlo è l'ultimo Rapporto sul dissesto idrogeologico dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che dipinge un quadro preoccupante: il 94,5% dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera. La superficie nazionale classificata a pericolosità da frana è aumentata del 15% rispetto al 2021, raggiungendo il 23% del totale. Non si tratta di numeri astratti, ma di una minaccia concreta per 5,7 milioni di persone e per decine di migliaia di edifici e imprese. Di fronte a questa emergenza, la risposta si sta articolando su due fronti complementari e sinergici: da un lato, la tecnologia avanzata dello Stato, con nuove mappe digitali ad altissima risoluzione; dall'altro, la capillare vigilanza dal basso, grazie alla "scienza dei fiumi" praticata dai cittadini.

 

 

Un modello concettuale del sistema della Solfatara è stato finalmente elaborato, offrendo nuove e profonde intuizioni sul bradisismo che interessa la zona dei Campi Flegrei. Una ricerca condotta da un gruppo di esperti del Cnr-Igg, dell'Ingv e della società Steam srl, i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Solid Earth, ha infatti individuato nell'acquifero intermedio il vero "motore" del fenomeno. Questo studio non solo svela l'origine del sollevamento del suolo, ma fornisce anche gli strumenti necessari per monitorarne l'evoluzione e valutare i possibili scenari futuri.

La ricerca, risultato di una pluriennale cooperazione tra l'Istituto di geoscienze e georisorse di Pisa, le sedi di Napoli e Pisa dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, e la Steam srl, specializzata in tecnologie geotermiche, ha esaminato con attenzione i fluidi delle fumarole della Solfatara, combinando queste analisi con una vasta gamma di dati geoscientifici. L'indagine ha così portato alla creazione di un modello che dimostra come la crisi bradisismica sia generata dal graduale aumento di temperatura e pressione dell'acquifero intermedio, posizionato a una profondità compresa tra i 2,7 e i 4,0 chilometri.


Ricostruzione 3D di un aggregato di nanocristalli osservato in una roccia vulcanica (figura modificata dall'originale pubblicata nell'articolo Bamber et al., 2025). La scala è di 1 micron


Uno studio internazionale coordinato dal Cnr-Issmc di Faenza ha per la prima volta utilizzato una tecnica innovativa su rocce vulcaniche, la pticografia a raggi X, per analizzare in 3D su scala nanometrica i cristalli che si producono durante un’eruzione vulcanica esplosiva. In questo modo è possibile ottenere informazioni cruciali per una corretta valutazione del rischio in occasione di eruzioni particolarmente esplosive. La ricerca è pubblicata su Nature Communications

L'Istituto di scienza, tecnologia e sostenibilità per le ceramiche del Consiglio nazionale delle ricerche di Faenza (Cnr-Issmc) ha coordinato uno studio internazionale che apre nuove prospettive nella comprensione delle eruzioni vulcaniche altamente esplosive, le più pericolose per le comunità che vivono in prossimità di vulcani attivi, caratterizzate dalla produzione di grandi colonne di cenere e gas, e deposito di ingenti volumi di materiale vulcanico anche a chilometri di distanza dall’eruzione.

 

Come si sono formati i celebri altopiani calcarei (loras) del Geoparco Mondiale UNESCO di Las Loras? Quali processi hanno plasmato questo paesaggio unico situato tra Burgos e Palencia? Queste sono state le domande centrali a cui un team di ricercatori del Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH) ha risposto in uno studio approfondito. Il loro lavoro ha ricostruito la titanica lotta tra le placche tettoniche e i processi di erosione; ovvero, tra i processi interni ed esterni del nostro pianeta nel corso di milioni di anni.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Cuaternario y Geomorfología, combina la mappatura sul campo con l'analisi dei dati digitali (immagini aeree, dati LiDAR e droni). Questo ha permesso di identificare una serie di antiche pianure erosionali relitte formate per denudazione milioni di anni fa. "In geologia, la denudazione è l'erosione del rilievo che si verifica per periodi di tempo così lunghi da appiattire e abbassare il rilievo, radendo al suolo e smantellando le montagne, fino a formare pianure erosionali quasi piatte, chiamate anche superfici di erosione", spiega il primo autore dello studio, Alfonso Benito Calvo, ricercatore del CENIEH.

 

Una ricerca internazionale coordinata dall'Istituto di scienza, tecnologia e sostenibilità per lo sviluppo dei materiali ceramici (Issmc) del Cnr svela come la formazione rapidissima di nanocristalli nel magma ne aumenti drasticamente la viscosità, alimentando eruzioni vulcaniche molto esplosive, e offrendo una nuova chiave di lettura per la dinamica di tali eruzioni. Lo studio, pubblicato su Communications Earth & Environment, apre nuove prospettive non solo per la vulcanologia, ma anche per il design di materiali avanzati come le vetroceramiche industriali.



La Namibia, una nazione vasta e scarsamente popolata dell'Africa sud-occidentale, si trova oggi su una soglia storica. Tradizionalmente riconosciuta per la sua impressionante bellezza naturale, la ricca fauna selvatica e un'economia trainata dall'estrazione di diamanti e uranio, il paese sta ora emergendo come un attore potenzialmente cruciale in settori strategici. Le nuove prospettive si concentrano principalmente su tre pilastri: l'idrogeno verde, le recenti scoperte di petrolio e gas e l'espansione della sua capacità portuale, il tutto intrecciato con la sfida incombente della desertificazione, l'eredità del colonialismo e un ecosistema innovativo in crescita, sostenuto da una governance progressista che include una significativa rappresentanza femminile.

La mappa mostra il sistema magmatico ricostruito sotto il Monte Etna tra i 6 e i 16 km di profondità. Le zone dove le onde sismiche viaggiano più lentamente sono indicate in rosso/giallo, mentre il sistema di fratture indotte dal magma e ricostruite dalla tomografia è rappresentato con un insieme di piani (superfici di frattura).

 

Team di ricercatori coordinato dall’Università di Padova fornisce un modello strutturale della crosta al di sotto dell’Etna e spiega perché il magma fuoriesce dalle bocche laterali
Sotto la superficie del Monte Etna, il vulcano più grande d’Europa e uno dei più attivi al mondo, si nasconde un mondo che a prima vista può sembrare immobile, ma nelle profondità della sua crosta cela un magma in continuo movimento che spinge e si accumula, trovando talvolta vie di fuga impensabili verso la superficie e scatenando incredibili eruzioni.


L’Università di Pisa ha coordinato lo studio pubblicato su Nature Communications.

Il livello attuale del mare lungo la costa atlantica dell’Africa è più alto di oltre 100 metri rispetto a 30.000 anni fa. Il dato emerge da uno studio coordinato dal professor Matteo Vacchi del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista Nature Communications. La ricerca ha mostrato come il livello dell’Atlantico sia stato fortemente influenzato dai cambiamenti climatici e dalla fusione delle calotte glaciali.

“Studiando le fluttuazioni avvenute negli ultimi 30.000 anni – spiega Vacchi - potremmo affinare i modelli climatici e migliorare le previsioni sulle reazioni del sistema Terra rispetto ai cambiamenti attuali. Molte regioni costiere africane, comprese città densamente popolate e ambienti naturali sensibili, sono direttamente minacciate dall'innalzamento del livello del mare. Studi come questo aiutano a comprendere la vulnerabilità di queste aree e a sviluppare strategie di adattamento e mitigazione. Infatti, la fascia costiera rappresenta circa il 56% del prodotto interno lordo (PIL) dei paesi dell’Africa occidentale, rendendola una risorsa economica e sociale chiave altamente vulnerabile ai cambiamenti del livello del mare causati dal clima”.


Lo studio condotto a Calafuria (Livorno) dall’Università di Pisa e della Scuola Superiore Sant’Anna pubblicato su Nature Communications.

Gli scogli di Calafuria in provincia di Livorno sono stati il laboratorio naturale al centro di uno studio dell’Università di Pisa e della Scuola Superiore Sant’Anna per capire come i cambiamenti climatici stiano alterando gli ecosistemi marini. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications, ha analizzato come il biofilm - una sottile pellicola vivente formata da microalghe e batteri fondamentale per la vita delle scogliere - reagisce alle variazioni di temperatura dell’aria.

I ricercatori hanno condotto un esperimento sul campo esponendo il biofilm a due diversi regimi termici: un riscaldamento costante e uno caratterizzato da forti oscillazioni, che simula le condizioni imprevedibili destinate a diventare sempre più comuni nel prossimo futuro a causa del cambiamento climatico. I risultati hanno mostrato che un regime costante di riscaldamento favorisce la presenza di specie con funzioni simili, capaci di “darsi il cambio” in caso di difficoltà. Questo meccanismo permette al biofilm di resistere meglio agli eventi estremi. Al contrario, forti oscillazioni di temperatura riducono la diversità favorendo specie a crescita rapida, capaci di riprendersi velocemente dopo uno shock termico, ma più vulnerabili funzionalmente nel lungo periodo.


Lo studio del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista Estuarine, Coastal and Shelf Science.

Due terzi dei principali fiumi italiani è attualmente a rischio erosione con arretramenti della costa che arrivano sino a 10 metri l’anno. Il quadro emerge da uno studio pubblicato sulla rivista “Estuarine, Coastal and Shelf Science” e condotto dalla professoressa Monica Bini e dal dottor Marco Luppichini del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. La ricerca ha analizzato i cambiamenti delle coste sabbiose italiane negli ultimi 40 anni, dal 1984 al 2024, con particolare attenzione ai delta fluviali.

Utilizzando un software che analizza immagini satellitari, Bini e Luppicchini hanno ricostruito l’evoluzione della costa italiana. Il risultato è che il 66% dei 40 principali fiumi italiani è soggetto all’erosione costiera, percentuale che sale 100% se si escludono le aree protette da difese artificiali.

 

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